La segnaletica indica l’“Arboreto Prandi”, da cui si accede proprio da questo bivio. È un pezzo di bosco che può apparire come tanti altri, ma man mano che si va avanti scopre tutta una sua storia particolare. In effetti, per chiunque abbia familiarità con la botanica, è un paradiso. E di questo deve ringraziare il signor Carlo Domenico Prandi, artefice di un vero e proprio miracolo. Nato nel 1890, di professione ferroviere, quando non si occupava di orari, fermate, rotaie e bielle, coltivava (nel vero senso della parola) il suo grande amore per la botanica.
I compaesani lo conoscevano bene, ma nessuno sospettava quello che stava facendo nella sua proprietà (e forse nessuno all’epoca sarebbe stato in grado di comprenderlo). Prandi creò infatti un arboreto con alberi mai visti prima. Ci sono piante rare che provengono da ogni parte del mondo, attorno al più comune frutteto e vigneto. Qui (e da nessun’altra parte) convivono in pochi metri il Cedro rosso del Giappone, il Peccio del Colotando, il Cedro dell’Atlante, la Palma nana, il Gelso della Cina e il maestoso Faggio rosso che per meriti guadagnati diventa un po’ il simbolo di tutto l’arboreto. Un giardino delle meraviglie che, dopo la morte di Prandi, cadde in uno stato di abbandono. Nessuno dei suoi eredi poté o volle occuparsene. Furono poi due giovani del suo paese, Pierluigi Piovano (anche lui ferroviere) e Romano Vadda, ad accorgersi di quel piccolo tesoro. Dal 2010 l’Arboreto è stato aperto finalmente al pubblico, con tutti i suoi tesori provenienti da ogni parte del mondo.